Per parlare del suono e dell'acciaio, devo necessariamente aprire uno scrigno in cui sono conservate immagini, che possono fare luce sul mio rapporto con l'acciaio e la ricerca del suono ideale.
Per poter far comprendere la strada seguita nella ricerca della "normalità" del suono degli strumenti musicali, dovrò raccontare della mia formazione alle tecniche di lavorazione del ferro, della presenza nella mia vita del suono, precedentemente la conoscenza della musica, della fortuna di essermi formato una coscienza acustica come caratteristica dell'acciaio per esigenze di fabbro, di come l'abitudine al comportamento acustico dell'acciaio abbia condizionato la mia ricerca del suono sugli strumenti musicali, e di come questa coscienza mi abbia aiutato a trovare tecnicamente sugli strumenti musicali, quella regolarità di comportamento del suono, necessaria alle normali esigenze di espressione acustica umana, in quanto le caratteristiche di regolarità e affidabilità del suono dell'acciaio, sono simili alle esigenze di comportamento della voce nel canto, e di come il vizio di prendere le misure prima di eseguire un lavoro, mi abbia portato a misurare il corpo umano come fosse uno strumento musicale.
Nascere figlio di fabbro porta con se una coscienza legata inevitabilmente al ferro e alla creatività, perché da sempre senti parlare di costruzioni, ti abitui lentamente acercare di capire come sono costruite tutte le cose, maturi un linguaggio da cui deve sempre trasparire una umile saggezza, adatta alla lavorazione del ferro. La mia esperienza inizia quando ancora il lavoro del fabbro era necessario a tutti, in un paese di artigiani e contadini, negli anni 60 in Calabria, dove dal fabbro ci andavano i falegnami per i loro attrezzi e ferramenta, i muratori per gli scalpelli, porte, ringhiere e cancelli, i contadini per le falci, le asce, gli aratri, gli asini, i muli, i pochi cavalli, le mucche di montagna, e vari articoli domestici.
Il fuoco sempre acceso e la "macchina", come aveva chiamato l'incudine una volta mio padre, lo avevo sempre sentito parlare di incudine, ma quella volta che mi ha raccontato di quella giornata di viaggio con il suo socio, per andare a Catania a scegliere l'incudine per aprire l'attività, disse: "quando andammo a Catania a scegliere la macchina", guardare mentre si lavora il ferro all'incudine, lascia nella memoria di un bambino una serie di emozioni provocate dallo scintillio delle faville, dal colore del ferro rovente, dal suo mutare forma ad ogni martellata, e dal "suono" dell'incudine,sono elementi che stimolano misteriosamente la fantasia della costruzione, e nel contempo forniscono suoni e ritmi che si imprimono nella memoria. Si incomincia sporadicamente, qualche anno prima di andare alla scuola elementare, a soffiare il fuoco per imparare a dare la giusta intensità, accompagnando l'espansione del fuoco incominciando a soffiare lento quando il fuoco è piccolo, e man mano aumentare fino ad avere un fuoco vivo bianco al centro.
Successivamente ti è concesso di usare il gancio per riordinare il fuoco, fatto a forma di punto interrogativo, con cui si possono prendere anche le singole pietre di carbone sistemarle nel punto migliore, anche se a volte vedevo mio padre spostare il carbone on le mani, imparare ad usare lo spiedo per dare la giusta aria interna al fuoco, recludeva la conoscenza di come si deve accendere il fuoco per fucinare ferro, quando si scalda un pezzo grande, lo si immerge nel fuoco e poi si raccolgono le braci attorno, come i vomeri degli aratri, i quali quasi sempre venivano lavorati con martello mazza, era un tripudio di ritmi, il colpo del martello, lo sbuffo di aria a bocca aperta, i chi lavorava alla mazza, e per ultimo il colpo della mazza, sordo e potente, se ne ercepiva il tremore del pavimento, diversamente il ferro da scaldare in punta, come li scalpelli da muratore, o un ferro dritto a cui fare la testa di un riccio, viene ntrodotto in mezzo al fuoco infilandolo tra le braci senza scomporre il fuoco, successivamente hai il permesso di accendere il fuoco, se hai imparato a pulire la enere dalle impurità ferrose accumulati il giorno prima, che consiste nello spostare la enere del giorno prima e togliere delle fusioni difformi di materiale ferroso, che si epositano sul fondo del fuoco, scaricare la cenere nell'ingresso dell'aria di soffiaggio otto la fucina con il gancio , se non si eliminano le impurità ferrose, quando il fuoco arriva in temperatura, dalla cime della fiamma emergono delle scintille che stanno ad indicare che tra le braci c'è del ferro al punto di fusione. Per accendere il fuoco bisogna congegnare una sequenza di tempi di accensione che vanno dalla carta a pezzetti di legno e carbone, sistemati in modo da dare tempo al carbone di accendersi ed espandersi al carbone vicino, se si adopera poca legna o carta, non si arriva a temperature in grado di accendere il carbone.
I primi lavoretti consentiti da mio padre, riguardavano o le punte in ferro per le trottole a spago dei miei amici, o donne che mi chiedevano piccole palette in ferro o mollettoni lunghi, per governare il fuoco domestico, o piccoli treppiedi per poggiare le pentole sul fuoco a legna, durante le scuole elementari, alcuni anni preparavo molti articoli da esporre davanti alla "forgia" di mio padre, dove una volta all'anno si teneva la fiera di animali e accessori per la campagna, siccome non potevo adoperare ferro nuovo dovevo arrangiarmi a recuperare piccoli pezzi negli scarti che univo, o il ferro che trovavo nelle vasche vecchie in cemento, che sbriciolavo a martellate, mio padre si divertiva a vedermi arrivare con un groviglio di ferro e tagliarlo rigorosamente con lo scalpello innestato sull'incudine, per poi raddrizzarlo sull'incudine stessa, alla fiera quasi sempre riuscivo a vendere qualche cosa.
Essendo l'arte del fabbro una logica rigida di comportamenti, come non stare mai seduti anche se non stai facendo niente, perché devi guardare chi lavora e imparare i gesti, ricordare il colore che deve avere il ferro pronto per la lavorazione, imparare quanta parte del ferro scaldare per non rovinare il lavoro, come quando si rifaceva la punta degli scalpelli dei muratori, dove dopo la forgiatura bisognava temperarne la punta, lavorazione che avveniva in varie fasi, la prima per ridare forma allo scalpello, poi per dare una "cementata" ai primi centimetri, e poi il primo centimetro dello scalpello che doveva essere duro in base all'angolo di taglio, l'operazione si svolgeva scaldando poco i primi centimetri, di un colore arancione, per poi raffreddarlo subito tutto, e poi riscaldandone solo la punta, sempre color arancione, lo si immergeva per breve tempo nell'acqua aspettando poi che dal taglio partisse un alone viola che visibilmente si spostava verso il corpo, quando "la viola" arrivava al punto opportuno lo si immergeva del tutto nell'acqua e lo si faceva raffreddare del tutto.
Bisognava imparare a scegliere la tenaglia giusta per la lavorazione, la scelta della grandezza del martello, la posizione sull'incudine per le varie forme, riconoscere la durezza del ferro dal suono che produceva, per non rovinare la sega o l'incudine se lavorato a freddo, in questo mestiere lo stimolo all'acquisizione della tecnica, avviene con stimoli alle tue capacità e parole insopportabili, quando sbagli perché non hai pensato tutto precedentemente e devi smontare qualcosa, o peggio quando ti fai male e sei schernito perché ti sei distratto o hai pensato di essere più forte del ferro, "il ferro piega il ferro" tu devi solo imparare a comandarlo, capire la logica che il grande sorregge in piccolo e il pesante va messo sotto il leggero.
Per qualche anno durante le elementari non volendo lavorare nella forgia di mio padre, il doposcuola lo dovevo passare comunque ad imparare qualche mestiere, potendo scegliere frequentai una carrozzeria, dove mi divertivo a lavorare la lamiera, essendo per me già di facile lavorazione, come tagliare con martello e scalpello il fondo di una automobile o lucidare e montare le varie parti in metallo, quasi sempre alluminio, in uso sulle auto anni 60, o lisciare le stuccature con la carta vetrata, essendo diventato oggetto di divertimento di uno dei maestri, come essere messo a testa in giù nella cisterna dell'acqua, decisi che quel mestiere era meglio evitarlo, anche se mi dispiaceva, perché a volte mi nascondevo e smontavo qualsiasi cosa mi capitasse per le mani, serrature e marchingegni stipati in dei bidoni sotto il banco, solo per vedere come erano costruiti, non sempre riuscivo a rimontare il tutto come prima. Provai a frequentare un elettrauto, dove imparai veramente molto, riparavo dinamo, motorini di avviamento e per la prima volta smontai un motore completamente, una 850 Abarth montato sulla carrozzeria della 600, ricordo di un brutto errore nell'invertire due bulloncini uno era troppo lungo e non stringeva il pescaggio dell'olio, il giorno dopo l'albero motore si ruppe in 4 pezzi, mi perdonò per l'inesperienza, frequentai ancora un po' l'elettrauto, poi mi mandò via una volta che giocando a piantare chiodi lanciandoli sul legno della tavola degli attrezzi al muro, centrai il tubo del neon. Qualche mese lo passai anche a fare il gommista, ma era noioso, un solo giorno frequentai un barbiere, le presi il primo giorno e abbandonai, una estate frequentai un falegname, dove mi piaceva scavare in legno per inserire le parti in ferro, ma questo maestro aveva il vizio di pizzicare il braccio, e faceva male, gli anni della scuola mediali passai frequentando una pasticceria, da dove mi rimane ancora il vizio di alzarmi presto la mattina.
Nonostante frequentassi altri mestieri, sporadicamente aiutavo mio padre o per andare in giro a prendere misure o andare a vedere e fare un disegno di un qualche lavoro in ferro battuto da replicare, o anche assistenza per ferrare qualche animale, scaldavo il ferro e lo seguivo in tutte le fasi, a volte prima andavamo in qualche fattoria per vedere l'animale, quando non lo conosceva, e alzandogli la zampa avvicinava la mano per guardare a quale giro di falangi delle dita corrispondeva la dimensione dello zoccolo, per confrontarlo con il ferro durante la lavorazione all'incudine, nelle fasi di montaggio allo zoccolo degli animali, se vedeva che l'animale stando fermo assumeva una posa strana, come uno zoccolo un po' sollevato, o vedeva battere lo zoccolo per terra in segno di fastidio, lo faceva camminare e guardava a quale zampa aveva problemi, a volte trovava differenze di altezza dello zoccolo o ferite infette che curava pulendo e disinfettando, il mio compito era di porgere gli attrezzi richiesti, dovevo seguire le fasi di lavorazione e possibilmente precedere la richiesta di un attrezzo, era spettacolare quando poggiava il ferro rovente sullo zoccolo per adattarlo, si levava una nuvola di fumo imponente, o se l'animale si ribellava il mio compito era di tenerlo con una cordicella per il labro inferiore, o poteva calciare e fare male.
Di quei momenti restano impresse la bellezza della lavorazione, il colore del ferro rovente nella tenaglia colpito dal martello, che ad ogni martellata modificava la forma, internamente ne scaturiva un ritmo che stimolava motivi di canto, percepivi il momento e il punto in cui il martello avrebbe colpito il ferro, ne intuivi le conseguenze di una martellata, seguivi un ferro che da dritto diventa un ferro di cavallo con la stella di appoggio d'avanti, o di asino con i tacchetti e un po' arcuato, o grande e massiccio e diritto come quelli del mulo, provare la soddisfazione di constatare che eri riuscito ad immaginare la forma del ferro dopo la martellata, ne avevi seguito il ritmo del martello come se lo tenessi tu, compreso i colpi di rimbalzo del martello, che continuano sull'incudine senza colpire il ferro, servono a mantenere il ritmo e a pensare come procedere la lavorazione, o la soddisfazione di capire dal suono che il ferro era da scaldare nuovamente, perché colpendolo con il martello, il ferro ormai scuro suonava di un suono vivo e più lungo mentre quando il ferro è rovente il suono che ne scaturisce è sordo, l'incudine non "canta" e il martello rimbalza meno velocemente. Il canto dell'incudine è uno dei primi strumenti musicali della mia vita, ci giocavo con il martello fino a che mi facevano smettere, perché rovinavo l'incudine, facevo marcette" con uno o due martellini, colpendo l'incudine al centro, intercalando olpetti sul cono o sul quadro laterali, i quali avevano un suono diverso, il cono era un suono più acuto e lungo, il quadro aveva un suono più secco e si fermava prima.
Il suono dell'acciaio riecheggia ancora nella mia memoria, come quando da bambino mio nonno in campagna mi mandava a spaventare i passeri lungo il campo di grano con una zappa senza manico appesa ad una cordicella e un sasso per colpirla e fare "rumore" ma anche con la zappa appesa era un divertimento colpirla e variare il ritmo per fare "marcette", correvo e gridavo battendo con il sasso sulla zappa appesa alla cordicella, era una spasso spaventare i passeri.
Con la fine delle scuole medie mio padre mi pose la condizione di andare in una scuola che aveva frequentato anche un mio fratello maggiore, o lavorare da subito con lui, scelsi di frequentare la scuola professionale con sede a Catona sullo stretto di Messina, dove mi iscrissi al corso di fresatore meccanico, non avevo la benché minima idea di cosa fosse, ma era l'unico indirizzo.
L'esperienza al C.I.A.P.I di Catona fu fondamentale per la mia attuale conoscenza dei metalli, mi insegnarono quali sono i metalli e come sono composti, come si ottiene il metallo dall'altoforno ai vari modi per ricavarne acciaio sempre più duro,mi insegnarono a pensare e disegnare con varie viste e indicarne le misure e la qualità della superficie finita, analizzare le caratteristiche dei vari metalli con macchine che comprimevano o strappavano tondini di vari metalli, la matematica e la fisica necessari a questo mestiere, ci facevano calcolare molle con delle macchine di misurazione specifiche, ci hanno fatto conoscere tutti i tipo di macchine utensili in uso, le materie andavano dall'aggiustaggio, che consisteva nel imparare ad adoperare le varie lime per rendere una superficie diritta e lucida come rettificata a macchina, alla freseria dove era possibile lavorare vari tipo di metalli, riuscendo a squadrare un pezzo perfettamente, eseguire delle scanalature dritte o a coda di rondine, alla torneria, dove era ipnotico preparare il cilindro da lavorare in freseria per fare i denti degli ingranaggi, al reparto di macchine varie , dove potevi trovare una truciolatrice o una rettifica, all'affilatura degli utensili, ci insegnarono i vari metodi per saldare metalli, e di analizzare le imperfezioni della saldatura. Molto utile fu nel secondo anno quando ci mandarono nelle varie ditte di lavorazione con macchine utensili, a seguire la lavorazione di un pezzo a farne un disegno e descriverne la lavorazione, in queste aziende capii che non sarei riuscito a fare tutta la vita gli stessi gesti e la stessa lavorazione, era esattamente all'opposto della preparazione ricevuta da sempre a costruire cose sempre diverse, scoprii di non essere una macchina e di non volerlo essere, anche se uno degli educatori del convitto, mi passò la passione verso le elaborazione dei motori a scoppio, dopo avermi fatto capire meglio il funzionamento, e avermi fatto ammirare la stabilità delle prestazioni dei congegni meccanici.
Con la fine dei corsi a Catona finiva la parte della mia vita dedicata allo studio, a sedici anni incominciai a lavorare con mio padre insieme a mio fratello maggiore, il socio di mio padre e i suoi figli, il lavoro era scontato e monotono, mi distraevo aggiustando ed elaborando il motore del mio motorino, la sera dopo cena mi chiudevo in garage e smontavo e rimontavo il motore del motorino, per testarne i risultati il giorno dopo, mi distrassi da questa malattia con l'avvento della radio, insieme a un paio di decine di amici, raccogliemmo i soldi per comprare le apparecchiature e dare vita ad una radio che doveva essere la continuazione di un'altra radio appena chiusa, raccogliemmo i fondi necessari mettendo di propria tasca una quota, andando al mercato la domenica e per tutti i negozi, riuscimmo ad aprire la radio e fu una rivoluzione per la vita sociale del paese, eravamo il primo gruppo in cui alcune ragazze partecipavano attivamente facendo programmi, si vedeva molta più gente in giro, perché con le dediche tutti erano diventati "famosi" , io mi occupavo delle telefonate in diretta con dediche, la sera dopocena, per vari motivi la radio fu chiusa e tornato ai motori una sera uscito per un giro di prova notturna, distrussi il motorino in modo irreparabile per cui seguì un periodo che andavo a letto presto per leggere libri.
Decisi di spostarmi dal paese, capitato a Padova cercai un lavoro che non avesse niente a che fare con quello che conoscevo, volevo fare il cameriere, non avendolo trovato decisi di cercare come fabbro, trovai un piccolo artigiano che aveva bisogno di un lavorante, dove fui assunto come apprendista, perché con la qualifica riportata sul libretto di lavoro costavo troppo, accettai e cominciai subito a lavorare comecarpentiere, era tutto un altro mondo da come si lavorava in Calabria, le costruzioni in ferro rispettavano altri parametri di costi e robustezza, praticai la lavorazione di serramenti in alluminio, pareti mobili e controsoffitti, lavorai come fabbro a Padova per sei anni in cui tra le costruzioni di cui sono orgoglioso, vi sono centosettanta portabiciclette costruite per il comune di Padova e distribuiti in tutte le Scuole e Università.
Con il trasferimento a Padova mi si aprì un mondo molto fertile, in cui potevo scegliere di fare una cosa e di poterla realizzare,lavorando di giorno come fabbro, iniziai a impegnare le ore serali intensamente, il primo anno ho studiato per dei corsi che mi avrebbero portato ad avere un diploma di scuola superiore in due anni, per accedere all'università, ma nel frattempo avendo conosciuto la musica tramite la chitarra, decisi di studiare musica, non potendo frequentare i corsi diurni e per non esserci stati corsi serali, cercai un insegnante di teoria musicale che insegnasse in conservatorio,mi recai in conservatorio e chiesi al bidello il nome di qualche insegnante di solfeggio, mi disse il nome e in quale classe stesse insegnando, bussai e mi disse di si, abitava vicino casa mia, cominciai le lezioni di lettura e teoria musicale, ma una sera a lezione a casa del mio maestro, fui lasciato solo in una stanza, perché in un'altra aveva squillato il telefono, e sul divano accanto a me c'era un violino con l'archetto, lo guardai come fosse un alieno, non ne avevo mai visto uno, lo avevo visto suonare ma mi risultava estraneo, presi coraggio e lo presi in mano presi l'archetto e provai a strofinarlo sulla corda, che orrore, il suono della chitarra era molto più bello, fui stuzzicato nell'orgoglio, dal non essere riuscito a far venire fuori dal violino nemmeno una nota decente, in quel momento entrò il mio maestro e vedendomi incuriosito, mi chiese se volevo sapere come funziona, accettai e oltre a teoria e solfeggio iniziai lo studio del violino mettendo da parte la chitarra, con il tempo iniziai a prendere lezioni di violino da un altro maestro, che ha avuto pazienza con me per quasi otto anni, attualmente ancora molto amici.
Quando si trattò del solfeggio cantato dovetti cercare un pianoforte, perché mi serviva una mano libera per i gesti della divisione. Capitò un giorno in cui stavo montando delle finestre in una abitazione, che la proprietaria mi dice di avere un pianoforte in garage e che se ne vuole disfare, lo comprai e con gli amici riuscii a portarlo a casa mia al secondo piano, ringrazio ancora i miei amici di allora, i miei maestri mi dissero che dovevo farlo accordare, recatomi in un negozio mi dissero che, per vedere se il pianoforte era riparabile, dovevo dare al tecnico l'equivalente di un decimo del mio stipendio, misi da parte tutta la mia umiltà e mi chiusi in casa a studiare come era costruito un pianoforte, la prima sera andai a letto alle tre, ricordo giorni davanti al pianoforte a disegnarne le parti e capire il funzionamento e i materiali, in questo fui aiutato molto dall'esperienza fatta al C.I.A.P.I., riuscivo ad immaginare come erano stati costruiti i vari componenti e capirne il funzionamento, la chitarra e il violino e le loro poche corde, al confronto apparivano semplicissimi anche se non riuscivo a capire alcuni comportamenti della corda che provocavano anomalie, cioè rendevano instabile il suono e il funzionamento musicale, la chitarra aveva differenze di suono tra le corde e tra le note che si ottenevano dalla singola corda, e il violino oltre alla differenza tra le corde e le note della stessa corda, aggiungeva fischi e grattate da inorridire, il pianoforte aperto appariva come una arpa su cui è installata una meccanica con dei martelli che battevano sulle corde, le corde erano di metallo durissimo, tese come non ne avevo mai viste, il telaio che teneva le corde era una fusione di ghisa quasi una scultura,
mi immedesimavo al fonditore che colava la ghisa fusa, e cominciavo a capire le forze che doveva sopportare oltre duecento corde di spessore diverso, tese fino quasi al punto di rottura, che devono mantenere la tensione anche martellandole e scuotendole, mi appariva come un miracolo di ingegneria. Con l'aiuto e la guida di un grande maestro accordatore di fuori città, fornendomi attrezzi materiali ed esperienza, riuscii a restaurare il pianoforte, restava la cosa più difficile, che era accordarlo, informatomi sui pochi manuali trovati in commercio, pregai il mio maestro di violino di assistermi con il suo orecchio, la prima volta nella divisione degli intervalli campione, riuscii ad imparare ad accordare un pianoforte in un paio di mesi, al punto che anche i miei maestri mi chiesero di accordare il loro, studiando musica pensai che se fossi riuscito a diventare accordatore di pianoforti sarei entrato in un mondo più consono ai miei interessi.
Fu così che il mio maestro di violino trovandosi in un negozio di strumenti musicali, chiese se avessero bisogno di un accordatore, avendo avuto risposta affermativa mi avvertì dell'occasione, mi presentai nel negozio di pianoforti, feci una prova e mi dissero che potevo migliorare con l'esperienza, per cui fui assunto come apprendista ancora una volta. Passai sei anni di continua formazione assimilando tutte le tecniche classiche per la lavorazione del pianoforte, dal restauro dei pianoforti in laboratorio, all'assistenza dei pianoforti nelle case, al servizio concerti con pianoforti grancoda, in giro per teatri e palchi nelle piazze. Avendo deciso di provare a lavorare da solo, mi misi d'accordo con un altro negozio per la manutenzione dei loro pianoforti e mi attrezzai in garage, dopo qualche mese il titolare del negozio mi mise a disposizione un locale in cui potevo lavorare i pianoforti, potevo attrezzare il laboratorio come meglio credevo. Questa nuova condizione mi stimolò a studiare più approfonditamente problemi di irregolarità del suono tra le note del pianoforte, molti dei quali rimanevano un mistero,come tra due corde vicine con lo stesso tragitto e medesime dimensioni, potevano avere caratteristiche di suono molto diverse,
l'argomento mi tormentava, nella tradizione per rendere uguale o simili due suoni del pianoforte, si agisce pungendo con degli aghi il martello di lana, per togliere volume ad un martello che suona troppo, o ingentilire il punto di impatto del martello punzecchiandolo leggermente sul punto di battuta, ma questo non bastava a togliere le vere differenze di volume, lunghezza e intensità del suono. Accadde che comprai un manuale di intonazione del pianoforte, in cui si consigliava di percuotere la corda con un punzone ed un martello vicino al ponticello, e non avendo mai sentito parlare di lavorazioni particolareggiate della corda, se non quello che prevede la tradizione, cioè stirarle premendole con un sordino di panno, assestare l'attacco alla punta spingendo l'occhiello con un cacciavite,
accorpare i giri di corda sulla caviglia, per prevenire scordature,
livellare le corde nel punto di battuta tirandole con un gancio,
ma di percuoterle e assestarle per migliorare il suono, era la prima volta che ne leggevo qualcosa, provai subito su un pianoforte ad assestare le corde sul ponticello,
ed effettivamente il suono era cambiato, ma notai subito che dopo aver assestato la corda, era necessario ripristinare la tensione perché era diventata calante, questo voleva dire che avevo recuperato altro materiale in eccesso, osservando tutte le curve a cui era sottoposta la corda, razionalizzai che la quantità di corda in eccesso nel tragitto, era nascosta in ogni curva tramite la resistenza a piega dell'acciaio, che questo ne rendeva gli attacchi e le curve elastiche, rendendo la tensione falsamente stabile, perché l'apporto di tensione generato con l'impulso del martello, veniva assorbito in parte e momentaneamente dal "molleggiare" del materiale in eccesso, cominciai a cercare di capire come formulare un processo di lavorazione di tutte le corde del pianoforte, con operazioni di stampaggio delle curve partendo dall' attacco verso il registro di tensione, scindendo una lavorazione diversa da pianoforte verticale e pianoforte a coda cercando di valutare i mutamenti del suono durante il progressivo processo di stampaggio delle curve, costruendo strumenti appositi per ogni operazione.
Il primo risultato confortante è stata la constatazione di una maggiore omogeneità dei vari componenti del suono. L'entusiasmo assorbì tutto il tempo e il sonno, studiai il comportamento delle corde nei minimi particolari stampando ogni curva cui era sottoposta la corda nel tragitto tra i due attacchi, studiai come ogni punto della corda aveva un suo ruolo nella produzione di un particolare aspetto del suono, rilevando da subito risultati migliorativi di regolarità dei componenti del suono tra le corde, cominciando a constatare come l'assestamento degli attacchi ne allungava la durata del suono, e la linearità della disposizione della corda nei punti di appoggio ne aprivano l'intensità, riuscivo a percepire dove la corda tramite la resistenza a piega, nascondeva materiale in eccesso lungo le curve, e quale era il suo percorso più breve, fino ad arrivare a concepire il funzionamento della corda di un pianoforte, come un sistema di leve diverse e concatenate, a cui bisognava far funzionare gli snodi.
Fu osservando il comportamento della corda sui punti di appoggio, che capii che stampando la corda sul punto di appoggio, aumentava la superficie a contatto sul punto di appoggio, provocando un rallentamento delle vibrazioni per la maggiore quantità di superficie di attrito, la quale incideva anche sulla posizione di stasi e moto della corda, notai che spingendo la corda ai bordi delle curve visibilmente mutava posizione, e se non si interveniva in senso opposto non tornava indietro, concepii una lavorazione più delicata della corda, dove con attrezzi appositamente costruiti, completai la "forgiatura" delle corde del pianoforte, ultimata con la costruzione di ganci per tirare e forcelle per spingere con pochi grammi, operazione che consente di distribuire in modo regolare, l'attrito di tutte le corde sui punti di appoggio, in modo che oscillino in egual modo e si trovino nella medesima posizione al momento di impatto del martello, e che questa non ceda di tensione dando modo alla corda di sviluppare la divisione armonica completa.
Cominciai ad identificare un funzionamento ideale delle corde, per produrre vibrazioni regolari, ed è proprio analizzando il comportamento delle corde in relazione alla resistenza a piega dei metalli, che capii il motivo per cui le corde del violino a volte si paralizzavano durante il funzionamento, provocando fischi e grattamenti, diedi la responsabilità di questi difetti di funzionamento, alla duplice interferenza nel tratto di corda tra ponticello e cordiera, della reazione prodotta ai lati delle curve, che la corda esegue sul ponticello per scaricare le vibrazioni, e la curva che esegue per essere ancorata alla cordiera, comprendendo che quel tratto di corda era costretto verso una unica direzione di oscillazione, condizionato dalla somma di due interferenze unidirezionali, immaginai il movimento della corda sul ponticello condizionato da questa tendenza, e pensai che sicuramente limitava e rendeva instabile il movimento della corda sul ponticello, perché sul ponticello il movimento era agevolato in un verso e contrastato nell'altro.
Essendo coinvolto in prima persona, per aver passato anni frustranti e noiosissimi cercando il suono del violino, tramite esercizi di tecnica sempre al limite della endinite, concepii di far eseguire una controcurva nel tragitto della corda del violino, per "liberare " il movimento della corda sul ponticello, semplicemente facendo uscire la corda da sotto la cordiera, invece che da sopra la cordiera,provocando una controcurva di compensazione, dell'esatta angolazione della curva che la corda esegue sul ponticello.
Accordai lo strumento e suonandolo mi emozionai, provai un senso di libertà che mi alleggeriva di tutti quegli anni passati a consumarmi le dita, il fruscio era quasi sparito, il suono dello stesso violino era diventato aperto e sotto l'arco era diventato molto più docile, si potevano eseguire arcate lunghe e lente, regolari e senza interruzioni, il cambio di direzione dell'arco era molto più pulito e agevole, la corda non si paralizzava, notai per la prima volta che le note prodotte sulla stessa corda erano più simili, erano corredati dalla stessa quantità di armonici, per cui il timbro del suono era molto più regolare, mentre ero assorto ad ascoltare come era cambiata la dinamica del suono del violino, in fondo al corridoio del laboratorio è apparso un muratore, a cui avevo dato il permesso di transitare per il laboratorio, ad uno scoperto dove doveva lavorare, lo vidi con due secchi pieni in mano, era la prova del nove, se il muratore oggiati i secchi per terra e preso in mano un violino, il suono risultava decente, allora voleva dire che funzionava davvero, presi coraggio lo fermai, gli dissi che mi doveva dare una mano perché non capivo il suono di quel violino, era molto ritroso si vergognava, aveva paura di romperlo, lo tranquillizzai e gli misi il violino sotto il mento, gli misi l'archetto in mano e gli dissi di accarezzare le corde in quel determinato punto, quando io ero lontano dall'altra parte del laboratorio, ne venne fuori un suono caldo, pulito e diritto, che fece esclamare al muratore un "beo ciò"! che ricorderò per sempre, ero felice, immaginavo già di poter far conoscere la libertà di suonare, a tutte quelle persone che erano sensibili al suono, e che si arrovellavano sulle corde con l'arco senza trovare un equilibrio stabile. Tra mille dubbi causa ignoranza delle tecniche di costruzione dei liutai classici, cominciai ad informarmi sulle tecniche di attacco delle corde del passato, ma otre ll'attuale "istintiva" tecnica usata per ancorare le corde, trovai che solo l'attacco delle corde in budello creavano una controcurva giusta, ma impiegando molta corda e concentrando la tensione sulla metà del diametro totale, mi feci l'idea che in tutti gli strumenti costruiti dall'uomo, la corda era stata sempre ancorata in funzione della stabilità della tensione, non in base allo specifico funzionamento. Nonostante fui assalito da mille dubbi, l'entusiasmo per i suoni che riuscivo a produrre, mi spingevano a disegnare ex novo la cordiera degli strumenti ad arco, anche se sentivo ancora differenze sostanziali nel comportamento delle varie corde dello strumento. Ero felice e rinfrancato delle mie capacità di violinista, ma la tecnica di stesura delle corde su uno strumento mi perseguitava anche in vacanza, dove provando a produrre sulla chitarra un attacco al ponticello che producesse una controcurva, usando la minima quantità di corda, risolvendo nella costruzione di un nodo e bloccando la corda nel foro di passaggio nel ponticello,
si ruppe una corda, non avendo ricambi di corde trovai un sistema per ancorare la poca corda sulla meccanica, bloccandone lo scivolamento nel foro della meccanica, con l'ausilio di uno stuzzicadenti che inserito nel foro ne rendeva l'attacco autobloccante, provai ad accordare la corda e riuscii a tenderla in nota, mentre la tendevo e la confrontavo con le altre corde notai che il volume e la durata erano molto aumentati, applicato lo stesso sistema alle altre corde, notai che le corde dei bassi però cedevano tensione repentinamente, perché l'anima di nylon scivolava dentro il rivestimento, questo mi fece capire che quando infiliamo una corda rivestita dentro un buco e poi la avvolgiamo per tenderla, azioniamo la tensione solo sul rivestimento non sull'anima interna della corda, provai a togliere un po' di rivestimento al capocorda con una fiamma feci fondere i fili di nylon che formavano l'anima, fino a formare un funghetto in prossimità dell'inizio del rivestimento, con somma felicità la tensione delle corde rivestite si stabilizzò,
suonando delicatamente le corde della chitarra l'emissione risultava molto più pronta, la durata del suono era molto più lunga, degradando con molta più regolarità, capii che la quantità di corda usata per costruire gli attacchi, era direttamente responsabile anche della sua durata e intensità.
Tornato dalle vacanze provai a legare anche le corde del violino con un attacco autobloccante usando la minima quantità di giri intorno al pirolo, finalmente le corde del violino avevano la medesima intensità, scoprii che la dinamica dello strumento era molto aumentata, cioè si poteva suonare in modo regolare molto più piano e molto più forte.
Procuratomi un violoncello provai a legare le corde con il nuovo sistema e di farlo suonare ad esperti, trovai un insegnante che contento dei risultati, mi stimolò molto a produrre strumenti e noleggiarli. Memore di macchine progettate in famiglia, e sviluppate da altre ditte, mi informai per depositare un brevetto ed un marchio, cosa non facile perché coinvolgeva tutti gli strumenti a corda, riuscendo comunque a depositare un brevetto per un nuovo tragitto della corda degli strumenti ad arco e a pizzico con nuovi attacchi, e iniziare la produzione di strumenti per la didattica. Il problema grosso per gli strumenti ad arco era costruire una macchina che producesse sulla cordiera una foratura radiale precisa in diciassette misure diverse, la fortuna fu di aver trasferito il laboratorio in un cortile dove lavorava un tornitore-fresatore, fui felice la prima volta passandoci d'avanti, nel vedere macchine che conoscevo bene, una fresatrice e un tornio sufficientemente grande per quello che serviva a me, impiegai due anni per realizzare e imparare ad adoperare la macchina, il primo anno fu molto convulso, ogni giorno dovevo progettare pezzi da realizzare per costruire la macchina, trovare i vari metalli occorrenti, come acciaio C60 rettificato, bronzo e lardone di alluminio, facendo costruire dei trapani apposta, sono riuscito a portare a termine una macchina con tutti i movimenti ad aria compressa, con un solo sensore elettrico di sicurezza.
Ricordo che la prima volta che ho montato una cordiera precisa su un violino, il suono di tutte le corde era così ampio che sembrava arrivare da ogni direzione, mi esposi finanziariamente e cominciai a produrre i primi cento strumenti di ogni misura e nel contempo portavo avanti il lavoro dei pianoforti. Sperimentai un noleggio a riscatto, con cui i bambini cominciavano con uno strumento piccolo, e man mano che crescevano potevano cambiare misura dello strumento, con lo stesso contratto, cumulando tutta la spesa per il noleggio, sullo strumento definitivo di buona qualità, con i bambini ho avuto le soddisfazioni più grandi, non conoscevano fischi e grattamenti, non soffrivano la scordatura dello strumento, trovavano subito le note, al punto che qualcuno è entrato in laboratorio senza aver mai preso in mano un violino, e ne è uscito che sapeva suonare un motivetto, ricevetti molti complimenti anche e molti adottarono questa cordiera, qualche professionista per pigrizia montava le corde al pirolo senza l'autobloccaggio, ma la cordiera migliorava il suono Le prime avvisaglie le percepii quando dopo un concerto di chitarra classica, il chitarrista a cui avevo legato le corde con il nuovo metodo, fu criticato per la scelta dello strumento, in quanto possedeva il suono troppo lungo, somigliava al pianoforte, e questo non piaceva.
Con il tempo il mio entusiasmo si consumò ulteriormente a causa del comportamento di alcuni maestri di conservatorio, i quali costringevano gli allievi a montare una cordiera tradizionale, in molti casi lo strumento era causa di malumore tra allievo e maestro,e questo era l'esatto opposto dei miei propositi. Capii che questo rifiuto per l'innovazione era legato a fattori irrazionali dell'essere umano e qualsiasi cambiamento deve avvenire con il rispetto dei tempi, altrimenti non è possibile spiegare frasi stizzite come "noi per ottenere questo suono abbiamo studiato decenni", " anche loro devono farsi le ossa", "suona troppo", "se si rompe una corda in concerto", non servì a nulla anche stampare le istruzioni e fornire un attrezzetto per inserire l'elemento che blocca la corda, dimostrando che ci voleva meno tempo a montarla e molto meno tempo ad assestarsi, ed essere subito in funzione, allungando tra l'altro la longevità della corda, ad un concorso un allievo è stato fermato e controllando il violoncello un maestro della giuria ha chiesto all'allievo dove era installata l'amplificazione, perché era vietata, oltre questo anche gli amici più intimi mi fecero capire che era da trecento anni che si faceva così, infangavo i grandi maestri del passato, altri si sentivano defraudati dal fatto che lo strumento suonasse bene, come se togliesse valore alla propria bravura, altri che avevano pubblicato esercizi per superare gli ostacoli, non trovando ostacoli, invece di esserne contenti, provavano per questi strumenti un sentimento di ritrosia, quasi che non avessero altro da insegnare, per ultimo il responsabile di una grande liuteria internazionale, nel farmi i complimenti metteva in risalto proprio la reazione dei maestri.
Conseguentemente ed in modo naturale feci sciamare la produzione di strumenti ad arco"equilibrati", mi dedicai esclusivamente allo sviluppo del lavoro in laboratorio, dove ancora oggi dopo aver rilevato anche il negozio, offro assistenza a tutti i generi di strumenti, in cui senza enfatizzare gli attacchi originali,
e adoperando le nuove tecniche in modo completamente anonimo, riesco a far crescere la coscienza di "normalità" del suono, creando un equilibrio più naturale tra innovazione ed evoluzione.
Per poter avere un parere autorevole, ho sottoposto le innovazioni ad un ricercatore del C.N.R. di Venezia, il quale preparò un poster da esporre ad ISMA 2007 una triennale di acustica a Barcellona, dove i risultati furono di totale apprezzamento, nonostante l'assenso della scienza, una innovazione su strumenti che devono evocare il passato, risultavano anacronistici, anche se il mio intento era togliere il brutto del suono, ed esaltarne il bello.
Nel cercare le teorie con cui poter far capire i vantaggi di questo nuovo modo di legare la corda, fui colpito da una serie di curiose congetture tra il movimento della corda del pianoforte e il movimento della corda della chitarra e quella degli strumenti ad arco, cioè una teoria razionale con cui si può ipotizzare la meccanica della genesi e funzionamento dell'onda stazionaria, lo spunto per questa teoria è nata una sera mentre raffreddavo il biberon del latte alle mie figlie, riempito il lavello di pochi centimetri e immersi dentro i biberon, fui attratto dal movimento dei fasci di luce delle onde, proiettati sul fondo del lavello, ricordavano quelle proiettate sul fondo sabbioso del mare dalle increspature dell'acqua attraversate dalla luce del sole, osservandole edevo il fascio di luce che concentricamente si muoveva sulla superficie dell'acqua, quando cadendo dal rubinetto una goccia provocò il moto di due fasci vicini, che concentricamente avanzavano e si sviluppavano sulla superficie dell'acqua proiettandone la luce delle creste delle onde sul fondo, realizzai che una prima onda si forma quando la goccia impatta sulla superficie, e una seconda onda si forma quando riemerge dalla superficie dell'acqua, formando una specie di timpano, era come vedere il martello di un pianoforte arrivare sulla corda e provocare il suono, mi fu ulteriormente chiaro il funzionamento dell'invenzione dello scappamento ad opera di Bartolomeo Cristofori, inventore del pianoforte, il cui intento era di creare uno strumento in grado di modulare il suono da piano a forte e renderlo più simile al omportamento della voce nel canto, la regolazione dello scappamento su un pianoforte, cioè il momento in cui il martello perde forza di spinta e libera il rilascio ella corda, regolazione che determina un rimbalzo più libero o più forzato, importantissima nella definizione della sonorità dello strumento, in quanto apre e chiude il suono, se si avvicina troppo lo scappamento alla corda, il rilascio della corda diventa insufficiente a produrre tutti gli armonici istantanei, se lo si regola troppo lontano si affievolisce il suono e si ha come la sensazione di ingovernabilità delle dita, il suono diventa completo e governabile, quando il martello perde forza nel momento giusto, da far rimbalzare lo stesso dalla corda risucchiadola, e provocando una oscillazione libera della corda sul punto di impatto, come la goccia che riemerge dopo il tuffo, e continua per una frazione.
Altra conferma deriva dal fatto che, se la corda del pianoforte non oscilla perpendicolare alla tavola armonica, perché il martello stimola una vibrazione circolare dell'ellissi di movimento, il suono oscilla di intensità, e alla fine come è naturale per il metallo, la corda si rompe, per regolarizzare l'oscillazione della corda perpendicolare al piano armonico e su un unico piano, bisogna intervenire sulla traiettoria e inclinazione del martello che percuota e rilasci la corda, muovendosi su di un unico piano, così come il movimento della corda su due piani della chitarra, è provocata dal pizzico che impone due piani di movimento, uno generato dalla direzione da cui arriva l'impulso e uno verso il punto in cui prosegue l'impulso, quindi se l'impulso provoca sulla corda, una onda al momento dell'impatto e una onda al momento del distacco, sulla corda dal punto di impulso si generano due onde contrapposte in positivo e due onde contrapposte in negativo, contenendo in se una "memoria" composta, per gli asse di oscillazione.
Quando ne parlai con un esperto, il quale fu molto contento perché anche lui si era dedicato all'argomento, senza aver trovato una spiegazione, mi disse che era plausibile, che se fosse provato si potrebbero scrivere cinque volumi sull'argomento, che bisognava approfondire la cosa, ma mancavano fondi.
La conoscenza arcaica del comportamento fisico e acustico del'acciaio, che mi ha accompagnato dal suono regolare e affidabile dell'incudine, a quella degli strumenti musicali, nel tempo mi ha indicato "come deve essere il suono", quale è il comportamento del suono degli strumenti musicali per essere "bello", mi ha portato a formulare una lavorazione della corda del pianoforte, e da questi a tutti gli strumenti a corda, affinché abbiano un suono "normale", ma per indagare più approfonditamente sulle reali esigenze acustiche delle persone, perché avendo trovato che anche tra i pianoforti stessi vi sono differenze di tonalità, cioè alcuni suonano bene in alcune tonalità ed altri in altre tonalità, per coscienza professionale e curiosità personale, ho cominciato a chiedere ai musicoterapisti cosa indagassero sulle persone prima di "somministrare" suono, avendo ricevuto risposte negative su indagini preventivi ad un trattamento acustico, della specifica acustica della persona trattata, ho cominciato a cercare sul corpo umano un suono di riferimento misurabile, essendo la voce soggetta a troppe variabili, ho cercato il modo di misurare il corpo umano come fosse uno strumento meccanico.
Aiutato dalla regola che ad un volume corrisponde una e solo una frequenza, a meno che non varia il volume, ho concepito l'idea di cercare la nota corrispondente alla nota che il mio cranio emetteva bussando, dopo averla trovata ed essermi convinto che non poteva essere la fondamentale perché il torace era più grande e quindi più bassa, cercai il suono corrispondente sul pianoforte, non essendo stato lo stesso suono e non sapendo quale scegliere, ho avviato una serie di misurazioni empiricamente ad orecchio, trovando risultati inaspettati che coinvolgono aspetti di vario interesse, che spaziano dalla didattica musicale, alla musicoterapia, alla psicologia, alla sociologia e psichiatria, individuando i tre suoni fondamentali del corpo umano, con i quali è possibile stabilire l'esatta tonalità acustica specifica di ogni persona, tramite cui le persone comunicano e si confrontano, affermazioni che nascono per constatazioni di carattere statistico, per aver misurato innumerevoli coppie di persone e loro figli, e per esserne risultanti sempre della stessa tonalità, evidenziando come la compatibilità e l'incompatibilità acustica tra le persone,sia importante per i rapporti tra le persone, ed evidenziando oltremodo la compatibilità acustica tra le persone e l'accordatura degli strumenti musicali, tramite cui le persone manifestano le proprie emozioni.
I dati accumulati sono frutto di indagini durate diciotto anni, alla fine dei quali sono riuscito a trovare il modo di misurare elettronicamente le frequenze fondamentali di una persona.
Inizialmente ero molto restio ad "invadere" la sfera psicologica delle persone, ma essendone coinvolto tramite la conoscenza tecnica del metallo, lo studio dedicato alla musica, e per essere un tecnico di strumenti musicali, con il tempo mi sono abituato all'idea che la conoscenza dell'acciaio, le sue caratteristiche e la lavorazione tecnica, fornisca un repertorio storiografico con cui è possibile comprendere meglio il pensiero umano, tramite il parallelo che vi è un legame di comportamento acustico tra la voce umana e l'acciaio, dove ambedue rivelandosi manifestano inequivocabilmente, la qualità della propria essenza.
Padova 21 giugno 2019 Carmelo Gaudino
[ Pubblicato nel sito del Collegio dei Tecnici dell'Acciaio il 31/10/2019 - Leggi articolo ]
[ Pubblicato nel sito Strumenti Gaudino il 20/01/2022 ]
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